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TEATRO ALLA SCALA. LA TRAVIATA
23 dicembre 2011


 

TEATRO ALLA SCALA. LA TRAVIATA

            Onore a Daniele Gatti per averci offerto una Traviata elegante e dall’andamento elastico, dove il direttore sa quando emergere – si veda, a titolo di esempio, lo splendido crescendo progressivo che accompagna l’uscita degli invitati nel primo atto - senza peraltro peccare di protagonismo, e quando farsi un po’ da parte lasciando l’onore del proscenio ai cantanti. Gatti va ringraziato anche per avere proposto una lettura meditatamente fedele alla corretta prassi esecutiva, eliminando i tagli di tradizione, ma aggiungendo varianti e cadenze che gli autori dell’epoca non scrivevano, ma lasciavano alla libertà e al buon gusto degli interpreti, affinché le numerose ripetizioni fossero sempre variate, secondo le prescrizioni contenute nel Trattato di Manuel García figlio. Ottima e del tutto condivisibile l’idea di ripristinare il finale originale della “prima” veneziana del 6 marzo 1853, con i violini divisi trasportati all’ottava superiore. “Verdi” – scrive Gatti sul programma di sala – nei momenti epici delle morti quasi trasfigurate delle sue eroine (ad esempio Gilda, Aida, ecc.) utilizza un’orchestrazione rarefatta con timbri diafani all’acuto, che dona pace e serenità all’anima che si accinge a compiere l’ultimo viaggio”. L’attenzione di Gatti per la funzione drammaturgica delle sonorità si estende d’altronde all’intera partitura, con ciò favorendo la prestazione dei cantanti, che si trovano così ad agire all’interno di un ambiente sonoro “amico” e coerente con le diverse situazioni drammatiche.

            Molto interessante la regia di Dmitri Tcherniakov – sue le scene, costumi di Yelena Zaytseva, luci di Gleb Filshtinsky - soprattutto per il tentativo, peraltro riuscito, di rendere plastici, di “visualizzare” elementi prettamente musicali come le agilità della protagonista - qui come non mai espressive per merito dell’azione combinata del direttore e del regista oltreché, naturalmente, della cantante – o le cadenze, il cui virtuosismo mai fine a sé stesso viene paradossalmente esaltato proprio dalla loro sdrammatizzazione, ottenuta facendole spesso eseguire agli interpreti seduti, che le trasforma in momenti espressivi di assoluta naturalezza. Suscita qualche perplessità solo l’inizio del secondo atto, dove l’ostentazione dell’impegno nelle faccende domestiche, da parte soprattutto di Alfredo, trasmette una sensazione di falsità: ma potrebbe anche essere il segno che quel tipo di vita non è adatto a nessuno dei due. Sta di  fatto, comunque, che il carattere eroico della cabaletta di Alfredo “Oh mio rimorso! Oh infamia!” contrasta pesantemente con l’immagine di lui che ha appena terminato di impastare la pizza… Anche l’inizio del duetto fra Violetta e Giorgio Germont suona un po’ strano, perché lei sembra non prendere in seria considerazione quanto lui le dice: l’equilibrio viene raggiunto di colpo all’esclamazione di Violetta “Ah no! Giammai”. Encomiabile la grande cura dinamica, ritmica ed espressiva di Germont padre, che riesce a rendere credibile persino la sua cabaletta “No, non udrai rimproveri”, solitamente avvertita come un mero sacrificio reso alla regolarità formale.

            Straordinaria l’interpretazione della protagonista Diana Damrau, al di là degli indiscussi meriti vocali, per l’energia profusa in ogni attimo e la costante, ammirevole coerenza fra gesto vocale e gesto scenico. Ben calato nel ruolo di Alfredo Piotr Beczala, dotato di ottima presenza vocale e scenica. Rimarchevole la prestazione di Želiko Lučić (Giorgio Germont), già ottimo interprete di Renato nel Ballo in maschera scaligero di qualche mese fa. Di alto livello il cast nel suo complesso, costituito da Giuseppina Piunti (Flora), Mara Zampieri (Annina di classe superiore), Antonio Corianò (Gastone), Roberto Accurso (Douphol), Andrea Porta (Obigny), Andrea Mastroni (Grenvil), Nicola Pamio, Ernesto Petti ed Ernesto Panariello.

 

Vittoria Lìcari

 

 

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