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TEATRO ALLA SCALA. ELIAS DI MENDELSSOHN
21 febbraio 2011


 

TEATRO ALLA SCALA. ELIAS

         L’oratorio Elias op. 70 per soli, coro e orchestra di Felix Mendelssohn-Bartholdy si colloca a buon diritto nel solco della grande tradizione tedesca del genere, che l’autore coltivò con particolare attenzione nell’intento di rinsaldare la moralità e la fede religiosa degli ascoltatori purificandone il gusto, secondo i principi della teologia sociale di Friedrich Schleiermacher, il quale riteneva che l’emotività provocata dalla musica costituisse un potente mezzo di coesione sociale e di motivazione etica. Si può affermare che Mendelssohn  abbia dedicato tutta la sua vita artistica a perseguire questo scopo sia mediante le proprie creazioni sia contribuendo a mantenere viva l’arte dei suoi due grandi modelli: Johann Sebastian Bach, di cui “riscopri” la Matthäuspassion dirigendola, appena ventenne, alla Singakademie di Berlino l’11 marzo 1829, e Georg Friedrich Händel il cui Messiah costituiva il terzo elemento di un trittico, con al centro la prima esecuzione di Elias e, come prima giornata, Die Schöpfung di Franz Joseph Haydn, in programma dal 25 al 27 agosto 1846 al Birmingham Triennial Music Festival. Il giorno dopo la “prima” il Time definì l’oratorio di Mendelssohn  «uno dei più straordinari risultati dell’umana intelligenza»; il successo dell’esecuzione fu clamoroso e fra gli spettatori più entusiasti di quella memorabile serata va annoverato il principe Alberto, marito della regina Vittoria, che ebbe per Mendelssohn parole di altissimo elogio per la sua capacità di veicolare attraverso la musica una profonda capacità comunicativa. Basato su testi dell’Antico Testamento tratti dal Primo libro dei Re, Elias è un lavoro di vaste dimensioni in cui si fondono due elementi all’apparenza diametralmente opposti, ma che si equilibrano vicendevolmente in modo perfetto, giungendo a  esaltarsi l’un l’altro:  l’intimismo espressivo prettamente romantico tipico del Lied e la dimensione plastica della drammaturgia operistica. I mezzi compositivi cui Mendelssohn fa ricorso molto devono alla retorica musicale più raffinata e, se possibile, “subliminale”, cosicché l’ascoltatore viene permeato e penetrato dal messaggio artistico-morale insito nella partitura fino a raggiungere un entusiasmo e una sensazione di appagamento e di esaltazione positiva cui è davvero impossibile sfuggire. L’esecuzione scaligera, diretta magistralmente da Daniel Harding, non ha fatto eccezione in proposito, grazie all’altissimo livello raggiunto dall’orchestra e dal coro, e alla commossa e partecipata interpretazione dei solisti: il soprano Julia Kleiter, il mezzosoprano Sarah Connolly, il tenore Andrew Staples e, sopra tutti, lo straordinario baritono Christian Gerhahrer. Degni di rimarchevole nota anche le prestazioni dei solisti del coro della Scala – i soprani Roberta Salvati ed Emilia Bertoncello, i mezzosoprani Marzia Castellini e Lucia Bini, i tenori Luigi Albani ed Andrea Semeraro e i bassi Devis Longo ed Emidio Guidotti – e dei giovanissimi membri del coro di voci bianche dell’Accademia scaligera – Erik Dolci, Beatrice Fasano, Lucilla Amerini, Laura Bevacqua – preparati da Bruno Casoni.

 

Vittoria Lìcari

                                                                                                                                                                                                                                                                      

 

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